Mucho Muchahos


Testo critico a cura di Domenico de Chirico
Traffic Gallery, Bergamo

“La vita è una danza nel cratere di un vulcano:
erutterà, ma non sappiamo quando.”
Yukio Mishima, Lezioni spirituali per giovani samurai, 1a ed. originale 1970

Del sapore dell’alterità è intrisa la pittura dirompente della veneta Maria Giovanna
Zanella, classe 1991. L’incontro con l’altro come centro nevralgico del senso dell’essere
trova nelle sue opere terreno fertile, eppure non siamo di fronte ad un tipo di alterità
radicale di stampo etico come quella decantata dal filosofo francese Emmanuel Lévinas,
quella legata al sistema complesso dei princìpi primi tipici dell’agire morale, ma
piuttosto ci troviamo a toccare le vene dell’essere umano, dell’animale e dunque della
terra, il sangue dell’essere che fa un passo indietro all’ancestrale, equivalente piuttosto
ad una procedere in avanti, che riscopre il sentimento come atto fondante dell’esistenza
respingendo qualunque attitudine positivista che lo rinnega e se ne fa beffa. La pittura
di Zanella è viscerale e violenta e così facendo si fa tenue e dolce in quanto decanta la
realtà in tutta la sua crudezza, purezza e beltà. Ciò che viene manifestato è l’incontro
per eccellenza, la coincidenza dei corpi, la loro reciproca penetrazione, il contatto che
non permette vuotezza, il sudore che si miscela, l’atto di fusione, ovvero la sexistence

come la definisce un conterraneo di Levinas, ovvero il filosofo trapiantato di cuore Jean-
Luc Nancy. Il sesso, che è desiderio e rapporto con l’alterità, è abisso, violenza e sommo

edonismo. L’amore sessuale è un posizionarsi instabilmente «sul bordo di un ‘fare’ che
fondamentalmente non fa che toccare il duplice al di là dell’animale e del divino, due
nomi che non dicono altro se non che l’esistenza è la sua stessa deiscenza, una
sexistence», per l’appunto. Difatti, per deiscenza Nancy intende una totale dischiusura e
apertura all’altro che così facendo si espone all’abisso dell’intimità. Il soggetto nelle
opere di Maria Giovanna Zanella scompare lasciando spazio unicamente a quel momento
di unione, laddove l’ombelico si restituisce come elemento totemico di tale rivelazione,
centro del corpo e collegamento atavico al corpo materno, primordiale unione
esperienziale. Ed è qui che Zanella rintraccia i suoi colori veementi, vividi e amniotici e
inizia il gesto pittorico che elogia l’atto stesso per eccellenza. I corpi restano sospesi in
una dinamica avvinghiata e danzante mentre le parti più estreme di essi, quelle che
sono spesso legate all’aspetto propriamente più razionale dell’essere umano, tra cui le
mani, in questo caso smaltate e dalle fattezze ocarine, fanno ciò che di meno razionale
possono fare ovvero ritmano una sonorità vitale e dal ritmo procacemente coinvolgente
per assecondare, rifrangendone il suono, il tempo di questa danza corporale turbolenta
e affannata in cui, per dirla con il pensatore francese Georges Bataille, «il coito è la
parodia del delitto»*.

Domenico de Chirico
Milano, 26 Maggio 2022

  • Georges Bataille, L’Anus solaire (L’ano solare, 1931)